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INDULTO: PROVVEDIMENTO NECESSARIO?

Indulto - Avv. Sergio Rastrelli

INDULTO: PROVVEDIMENTO NECESSARIO?

Nelle scorse settimane i poliziotti di Napoli hanno  riportato al centro dell’attenzione della pubblica opinione i complessi temi della sicurezza, rappresentando – intelligentemente e provocatoriamente – nelle strade di una Città ferita, i “funerali della legalità”.

Nell’ambito delle loro legittime rivendicazioni, gli uomini in uniforme hanno così associato le loro storiche contestazioni contro organici carenti, attrezzature obsolete ed una logistica inadeguata, con la ferma opposizione al recente provvedimento legislativo delle “facili e gratuite scarcerazioni”.

Tanto perché con il voto del Senato, il 29 luglio scorso, è stato  definitivamente approvato il disegno  di legge  che – raccogliendo i necessari consensi trasversali nella maggioranza e nell’opposizione – ha introdotto nel nostro ordinamento un provvedimento di indulto. L’indulto  è,  come  noto, una causa di estinzione  della pena prevista dall’art. 174 del Codice penale : inteso  in senso stretto,  è un provvedimento con il quale il Parlamento condona o commuta parte  della pena per  i reati commessi prima della presentazione del disegno di legge di indulto. La Costituzione richiede, per  la sua approvazione, una maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera; legge deliberata in ogni suo articolo e nella votazione finale. Per  l’applicazione  dell’indulto  è  competente il giudice dell’esecuzione, il quale procede senza  formalità, secondo la procedura de plano  prevista  anche per l ‘amnistia.

Si tratta in definitiva di un provvedimento generale di clemenza, ispirato, almeno originariamente , a ragioni di opportunità politica e pacificazione  sociale, ma  degenerato, nella prassi, in strumento di periodico sfoltimento delle carceri.

Il provvedimento specifico varato dal Parlamento prevede così una riduzione di pena di tre anni per chi abbia commesso reati fino alla data del 2 maggio 2006.

Il provvedimento di clemenza non si applica comunque a chi abbia commesso reati di terrorismo , strage, sequestro di persona, associazione a delinquere, associazione a delinquere di tipo mafioso, prostituzione minorile, pedopornografia , tratta di persone , acquisto e alienazione di schiavi, violenza sessuale, riciclaggio, produzione, traffico e detenzione di sostanze stupefacenti ed usura.

La legge ha inoltre stabilito anche che l’indulto non possa essere applicato alle pene accessorie temporanee , come l’interdizione dai pubblici uffici. Lo sconto di pena sarà comunque anche condizionato alla buona condotta fuori dalle carceri: in caso di commissione di nuovi reati nei cinque anni successivi alla concessione dell’indulto, il beneficio sarà infatti revocato. La votazione  sull’indulto – pur avendo raccolto una maggioranza molto  ampia – è stata accompagnata da polemiche e critiche,  all’interno ma soprattutto al di fuori delle sedi della politica.

Da un lato, infatti, è apparso responsabilmente necessario argomentare su un dato di fatto: l’assoluto stato di necessità in cui versano le carceri italiane: il “sistema giustizia” italiano fa infatti acqua da tutte le parti, con processi sempre più lenti, ma carceri sempre più sovraffollate (negli ultimi 15 anni si è registrato un incremento nel numero dei detenuti dai 25.804 detenuti del 1990 ai circa 61.000 detenuti di oggi, di cui il 33% circa è costituito da stranieri ed il 27% da tossicodipendenti).

A fronte di questa situazione, l’obiettivo da porsi è apparso necessariamente più ampio della mera repressione e del diritto penale: sussiste infatti uno stato di necessità “strutturale”, legato al fatto che il carcere è sempre più una “discarica sociale” piuttosto che un luogo di possibile rieducazione, con le negative conseguenze anche sulla sicurezza dei cittadini, perché un carcere che non prova neanche a rieducare è un carcere che non fa nulla per ridurre  la spirale perversa della recidiva  che produce sempre nuova insicurezza. Questo stato di necessità strutturale si intreccia inestricabilmente con uno stato di necessità contingente, di tipo logistico, derivante dal sovraffollamento delle carceri: ed alla privazione della libertà si aggiunge una sanzione (non prevista da alcun ordinamento) consistente  in una sostanziale inciviltà dell’esecuzione della pena detentiva.

A fronte di questo doppio  stato di necessità, l’essere intervenuti per decongestionare l’insostenibile situazione carceraria è perciò apparso inevitabile.

D’altro canto, si è legittima mente sostenuto che la riforma approvata è profondamente ingiusta perché si dirige esattamente in direzione opposta rispetto al più evidente e più citato difetto del sistema di sicurezza  italiano: la mancanza di certezza della pena, costituendo un duro colpo  al principio  secondo cui chi commette un reato deve  sempre pagare.

Tale preoccupazione particolarmente avvertita tra gli appartenenti alle Forze dell’Ordine, in quanto vi è il timore che possano dilagare frustrazione  e demotivazione a fronte della vanificazione dell’impegno profuso e di risultati  ottenuti : in tale ottica i rischi corsi, i sacrifici sopportati dai poliziotti e, soprattutto, il danno e l’affronto subiti dalle vittime sembrerebbero non contare davvero nulla.

In realtà, appare sempre più chiara la necessità – come peraltro  indicata dal Capo dello Stato – di un ripensamento dell’intero sistema sanzionatorio  e della gestione delle pene, che non coinvolga soltanto  aspetti  organizzativi e normativi, ma lo stesso modus operandi della magistratura:  in tal senso è necessario che Governo e Parlamento procedano decisamente, con misure efficaci, sulla via tanto della riduzione della durata dei processi, quanto dell’ulteriore ricorso a pene alternative alla sanzione detentiva, per affrontare e risolvere,  in modo  organico, le cause remote e attuali della sofferenza  dell’intero modello penale.

Tutto questo appare decisamente necessario per  evitare che il ripristino delle attuali condizione di sovraffollamento  delle  carceri  si ripresenti già fra pochi mesi, ma soprattutto per evitare che le attuali, dolenti segnalazioni degli appartenenti alla Polizia  di Stato rimangano  “voce giusta e vana”, come le profezie di Cassandra.

 

Avv. Sergio Rastrelli