28 Feb LE MISURE CAUTELARI
LE MISURE CAUTELARI
oltre le interferenze tra politica e giustizia,
quali i limiti e le condizioni di applicabilità
a cura dell’Avv. Sergio Rastrelli
Le eclatanti cronache giudiziarie delle ultime settimane hanno registrato una decisa involuzione – forse senza precedenti – del già controverso e lacerato rapporto tra politica e giustizia nel nostro paese: tra asserito primato del legislatore da un lato, e declamata soggezione del giudice solo alla legge dall’altro.
Non vi è dubbio, infatti, che siano state iniziative di natura giudiziaria, giunte ad arresti clamorosi, sino a contestazioni di concorso esterno in associazione a delinquere nei confronti del Ministro della Giustizia, a determinare, di fatto, le precondizioni per la attuale crisi di governo.
In una sovrapposizione continua – e spesso interessata – di ruoli e responsabilità, tra indebite supplenze e difese corporative, anche gli osservatori più accorti hanno palesato difficoltà nel comprendere quanto risultasse giustificato, nel caso specifico, il ricorso agli strumenti della custodia cautelare, e quanto ormai – più in generale – risulti presente ed effettivo, nel nostro ordinamento, il limite invalicabile della giurisdizione.
Eppure, sotto il profilo tecnico normativo, le misure cautelari – in particolare quelle personali – rientrano certo nel novero degli istituti giuridici nei quali maggiore è stato, nel corso del tempo, l’intervento di riforma, sino a delineare un sistema – quello attuale – forse “ibrido”, ma certo estremamente regolamentato, finanche a livello costituzionale.
L’articolo 13 della nostra Carta Costituzionale (sulla libertà personale) sancisce infatti che “la libertà personale è inviolabile”, e come non sia ammessa detenzione “se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria, e nei soli casi e modi previsti dalla legge”, prevedendo come “la legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva”, rimandando in tal senso alla legislazione penale – processuale e sostanziale – la disciplina ed i limiti della custodia cautelare, nell’ambito di ogni stato e grado del giudizio in rapporto all’entità della pena.
Il Legislatore Costituente ha scelto così di contemperare due esigenze tra loro contrapposte: la inviolabilità delle libertà personale, ed il correlato principio della presunzione di non colpevolezza dell’imputato, con la tutela dell’accertamento della verità processuale e della sicurezza della collettività.
In funzione di tali vincoli costituzionali , il legislatore ordinario ha riservato alla disciplina delle misure cautelari un apposito libro (il libro IV, agli articoli 272 e ss.) del codice, configurando un sistema autonomo di norme tassative, strumentali e provvisorie, in cui la libertà si configura naturalmente come la regola, e le limitazioni alla stessa come eccezionali e tassative.
Per considerare il valore della attuale disciplina, basti considerare come il testo originale del previgente codice fascista non indicasse neppure i presupposti cautelari per disporre la carcerazione preventiva: ma basasse solo ed esclusivamente su considerazioni sulle qualità morali del soggetto reo, disciplinando – in definitiva – uno strumento di natura più amministrativa che giurisdizionale, finalizzato “ad continendos homines, non ad puniendos”.
In coerenza con la propria impostazione autoritaria, il Legislatore fascista perseguiva infatti l’intento di affermare la prevalenza assoluta degli interessi collettivi, impersonati nello Stato, su quelli – eventualmente confliggenti – del singolo indagato, e relegava la disciplina della custodia preventiva nel libro “della istruzione“, durante la quale lo “status naturale” dell’indagato era appunto quello detentivo, senza neppure la previsione della scarcerazione per decorrenza dei termini, perché considerata “aberrante ed insidiosa”.
Nell’ordinamento attuale, invece, il codice – nell’ambito delle misure cautelari personali, coercitive ed interdittive, assimilabili nei presupposti che le giustificano – stabilisce come, per aversi misura cautelare, il Giudice – con espressa riserva di giurisdizione – sia chiamato ad operare tutta una serie di verifiche, controlli e valutazioni di legge.
In primis, il Giudice è tenuto ad operare una verifica essenziale sul titolo del reato contestato (art. 280, co. 1 e 2, c.p.p.), poten do essere le misure cautelari applicate solo quando si proceda per delitti per i quali la legge sta bilisce la pena dell’ergastolo , o della reclusione superiore nel massimo a tre anni, che diviene – per i casi di custodia cautelare in carcere – pena non inferiore nel massimo quattro anni.
Ma, quel che più conta, il Giudice è tenuto ad effettuare una valutazione sulla contestuale sussistenza di indizi di colpevolezza e di esigenze di cautela, dovendo sempre integrarsi – in ogni misura cautelare – un presupposto probatorio (il cd. fumus commissi delicti) ed un presupposto cautelare (il cd. periculum libertatis).
E’ cioè necessario che, a carico della persona da sottoporre a misura, esistano “gravi indizi di colpevolezza” (tali cioè da far apparire ragionevolmente come probabile una successiva affermazione di colpevolezza), e specifiche “esigenze di cautela”, quali – in sintesi – evitare l’inquinamento delle prove, la fuga dell’indagato, ovvero che lo stesso tomi a delinquere: ipotesi tra loro alternative, nel senso che è sufficiente ne ricorra almeno una, purché attuali.
In tal senso, il Giudice deve sempre offrire, a pena di nullità della propria ordinanza, una motivazione adeguata in ordine alle specifiche circostanze di fatto da cui desumere le specifiche ed inderogabili esigenze in relazione a situazioni di concreto ed attuale pericolo per la acquisizione e la genuinità della prova, escludendo la possibilità che le finalità istruttorie si riducano a sviluppi solo genericamente ipotizzabili delle indagini, e fissando altresì una data di scadenza, essendo evidente la necessità di limitare la privazione della libertà personale al tempo strettamente necessario all’espletamento delle ulteriori , specifiche necessità istruttorie ed investigative; ovvero è necessario che indichi con puntualità le risultanze dalle quali risulti che l’indagato stia per darsi alla fuga , in modo da far dubitare che la eventuale pena detentiva finale possa non essere eseguita, e che le stesse siano desunte da circostanze oggettive; ovvero che abbia esaminato, con particolare vaglio critico, le caratteristiche oggettive e soggettive della vicenda per la quale si procede, dalle quali ritenga emergente il rischio concreto che l ‘indagato – se libero – possa commettere gravi delitti con l’uso delle armi o con mezzi di violenza personale, o diretti contro l’ordine costituzionale, od anche di criminalità organizzata, oppure delitti della stessa tipologia di quelli per i quali la misura è stata emessa.
Solo una volta compiute dette valutazioni, il Giudice dell’ordinanza è poi chiamato a stabilire quale misura applicare, e sempre nei limiti delle richieste del Pubblico Ministero, atteso che l’impulso delle misure cautelari, non esperibili di ufficio, è demandato in via esclusiva all’organo inquirente: il Giudice deve cioè dare concreta attuazione ai principi di adeguatezza e proporzionalità della misura cautelare, tale cioè da risultare idonea a soddisfare lo specifico grado di esigenza di tutela della collettività , ma anche un compatibile grado di proporzione con la maggiore o minore gravità del fatto-reato, e – conseguentemente – della pena che è possibile valutare possa essere inflitta all’esito del dibattimento.
Solo così il Giudice dell’ordinanza ha titolo e cognizione per scegliere quale misura cautelare adottare, scegliendo, tra le coercitive, in ordine crescente di gravità, tra il divieto di espatrio, l’obbligo di presentazione periodica alla autorità di polizia giudiziaria ed il divieto di dimora in un luogo determinato, l’obbligo di dimora, gli arresti domiciliari, ovvero – “quando ogni altra misura risulti inadeguata” – la custodia cautelare in carcere.
Al di là, pertanto, di ogni specifica vicenda di attualità, e delle fisiologiche disfunzioni di sistema, con il consueto corollario di polemiche pretestuose, quando si sia così considerato il grado di complessità posto alla base della possibile emissione di provvedimenti cautelari, e si siano, in parallelo, correttamente valutati i mezzi di impugnazione esperibili, è possibile ancora confidare – almeno in astratto -nella residua tenuta del nostro “stato di diritto”.